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Comunità energetiche: la chiave per entrare nella transizione energetica, ecologica e sociale e arrivare a un sistema sostenibile

Intervista a Davide Di Giuseppe, responsabile della Funzione Autoconsumo e Comunità Energetiche del Gestore dei Servizi Energetici

Le comunità energetiche sono recenti e, nel nostro Paese, ancora in fase sperimentale ma sembrano essere il futuro prossimo per le energie rinnovabili. La storica esperienza italiana di cooperative e di autoproduttori di energia può facilitarne lo sviluppo. Non a tutti è però chiaro cosa siano, come funzionano e come potrebbero svilupparsi.

Abbiamo approfondito il tema con Davide Di Giuseppe, responsabile della Funzione Autoconsumo e Comunità Energetiche del Gestore dei servizi energetici GSE SpA, la società individuata dallo Stato italiano per perseguire e conseguire gli obiettivi di sostenibilità ambientale mediante le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica.

  • Le smart community o comunità energetiche sono considerate elemento cardine della transizione energetica ma cosa sono effettivamente e come funzionano?

La Comunità energetica rinnovabile è un soggetto giuridico (anche un’associazione ad esempio) costituito allo scopo di mettere assieme i consumatori di energia siano essi privati, imprese o pubbliche amministrazioni ubicati in una medesima area (oggi individuata nella porzione di rete elettrica sottesa alla stessa cabina di trasformazione da bassa a media tensione) perché possano produrre da fonte rinnovabile l’energia necessaria a soddisfare i propri fabbisogni, scambiandola tra loro. In questo modo, ad esempio, chi ha un tetto o un’area utile per l’installazione di un impianto fotovoltaico può renderli disponibili per produrre energia anche per chi, invece, non avrebbe spazi liberi da utilizzare. Chi diventa membro della comunità contribuisce con la propria quota associativa alla realizzazione dell’impianto e beneficia dell’energia da esso prodotta.

Sulla minore tra l’energia immessa in rete dall’impianto in una data ora del giorno e quella consumata nello stesso lasso di tempo dai soggetti associati, detta in gergo energia “condivisa”, vengono riconosciuti dal GSE dei corrispettivi alle comunità (circa 120€/MWh) che si compongono di un incentivo e di una quota di ristoro delle tariffe di trasporto e distribuzione dell’energia pagate in bolletta. L’energia elettrica immessa in rete dall’impianto rimane comunque nella disponibilità del produttore (il meccanismo di “condivisione” dell’energia è, infatti, solo virtuale) che può valorizzarla anche, ad esempio, richiedendone il ritiro al GSE alle condizioni di mercato o accedendo ai Prezzi Minimi Garantiti.

Il GSE ha recentemente pubblicato le Regole Tecniche per l’accesso a tali contributi e attivato un portale informatico per l’invio delle richieste.

C’è anche la possibilità di affidare la realizzazione dell’impianto e di far svolgere il ruolo di produttore ad una società che offre servizi energetici: in tal caso la comunità si accorderà con questa per la suddivisione dei benefici derivanti dalla condivisione dell’energia prodotta dall’impianto.

Le stesse cose può farle un condominio, solo che in questo caso tecnicamente non si parla di comunità energetica ma di gruppo di autoconsumatori che agiscono collettivamente e non occorre diventare membro di un’associazione: il condominio stesso, operando tramite il suo amministratore, può fungere da soggetto aggregatore dei condòmini e utilizzare gli spazi comuni per la realizzazione degli impianti.

  • Perché le Comunità energetiche dovrebbero essere preferite ad altre forme di produzione?

I vantaggi di queste forme di produzione e consumo sono molteplici. Mettendosi insieme è possibile realizzare impianti più grandi che, quindi, costano unitariamente meno di quelli ad uso di una singola persona. Ciascuno poi può decidere liberamente in che misura partecipare alle spese e inoltre si utilizza meglio l’energia prodotta perché associando i consumi di più soggetti è più facile che vi sia contemporaneità tra produzione e consumo.

Gli interventi di realizzazione degli impianti sono poi compatibili con le detrazioni fiscali del 50% previste per la ristrutturazione edilizia (con un limite di potenza agevolabile che è stato innalzato, solo per queste forme di produzione, da 20 kW a 200 kW) o del 110% previste in caso di accesso al cosiddetto “Superbonus” (in quest’ultimo caso viene riconosciuto come contributo sull’energia condivisa solo la quota di ristoro per il mancato uso della rete) ed è anche possibile cumularli: sui primi 20 kW di impianto si può usufruire del Superbonus e per la quota di potenza rimanente delle detrazioni del 50%.

Rispetto ad altre forme di produzione le comunità energetiche presentano poi diverse esternalità positive. Anzitutto c’è una maggiore accettazione degli impianti sul territorio perché sono integrati e funzionali allo stesso, inoltre si hanno minori perdite di rete e si contiene lo sviluppo di nuovi elettrodotti perché si produce vicino a dove si consuma l’energia e di conseguenza la rete elettrica viene utilizzata di meno e subisce, quindi, un minore stress acquisendo una maggiore resilienza, c’è anche un minor consumo del territorio perché si utilizzano spazi già impegnati per altri scopi (tipicamente i tetti) e poi il coinvolgimento dei consumatori nella produzione contribuisce a renderli più consapevoli dei propri consumi e a farli anche intervenire su di essi e sull’efficientamento energetico delle proprie abitazioni e ancora si crea valore condiviso a livello locale. Infine, l’elemento forse più importante, è la valenza sociale che assume la comunità energetica nel territorio in cui si innesta.

La Comunità energetica può considerarsi il primo tassello, l’infrastruttura su cui costruire la smart community, concetto più ampio che coniuga aspetti non solo energetici, ma anche tecnologici e sociali, finalizzati al miglioramento di tutti i servizi al cittadino, quali anche la mobilità, e richiede l’uso di sensoristica diffusa e di sistemi che gestiscano ed elaborino le informazioni acquisite. In questo senso la comunità energetica può essere effettivamente la chiave per entrare nella transizione non solo energetica ma direi ecologica e della società e portarci a un sistema che risulti sostenibile nel tempo.

  • L’Italia è partita solo di recente nella definizione della normativa sulle comunità energetiche. Qual è la situazione attuale nel nostro paese, quali i numeri ad oggi? E come si posiziona l’Italia rispetto al resto dell’Europa?

A parte alcuni paesi europei come Austria e Francia che hanno introdotto delle norme specifiche già da qualche anno, gli altri come la Spagna e il Portogallo sono intervenuti solo recentemente (tra fine 2019 e 2020) quindi in linea con l’Italia che a fine 2019 ha introdotto una norma specifica, seppur transitoria e con finalità sperimentali, divenuta operativa nel corso del 2020. Possiamo dire che un po’ dappertutto si è ancora in una fase in cui si stanno testando i modelli applicativi. In Italia la fase di sperimentazione è pienamente operativa: al GSE sono già arrivate richieste di accesso ai contributi e quindi si stanno realizzando le prime comunità energetiche. Con la sperimentazione in atto si vogliono reperire elementi utili a definire in maniera più consapevole il provvedimento di recepimento della direttiva europea sulle comunità energetiche rinnovabili che dovrà essere adottato dall’Italia entro la fine del mese di giugno prossimo. Siamo quindi pienamente in tempo.

Non dimentichiamo poi che l’Italia conta un’esperienza di cooperative storiche di autoproduttori di energia già dall’inizio del ‘900 e un numero di prosumer (consumatori di energia che si sono fatti installare degli impianti di produzione sulla propria abitazione/edifico) molto alti: stiamo ormai oltre i 900mila. Aggiungo che il numero di edifici e quindi di tetti in Italia è di oltre 14 milioni contro il milione scarso ad oggi utilizzato senza contare la ricchezza di risorse naturali rinnovabili quali il sole e il vento di cui gode il nostro Paese. In sintesi ci sono tutte le premesse per un’ottima riuscita.

  • Parliamo di povertà energetica. Circa cinque milioni di italiani, circa l’8%, ne sono colpiti. Le Comunità energetiche rinnovabili e l’Autoconsumo collettivo possono aiutare a combatterla?

È uno degli obiettivi che si prefiggono le comunità energetiche che, ricordiamo, hanno come oggetto proprio quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali ai propri associati tanto è che spesso le comunità prendono forma di enti del terzo settore e quindi prevedono forme di solidarietà energetica, fornendo ai soci un accesso a buon mercato all’energia e delle strategie per risparmiarla e utilizzarla al meglio intervenendo anche sull’efficientamento energetico delle strutture edilizie. Per legge, poi, tutte le comunità devono prevedere una partecipazione aperta: tutti devono potervi appartenere anche i soggetti meno abbienti che, comunque, con i loro consumi possono contribuire ad aumentare la quota di energia condivisa dalla comunità e quindi dare un vantaggio alla comunità stessa. L’inclusione e la possibilità di accedere meccanismi a condizioni a cui altrimenti il soggetto vulnerabile non potrebbe sono gli elementi che rendono le comunità uno strumento importante per il contrasto alla povertà energetica.

  • Che ruolo hanno gli Enti Territoriali nella promozione e diffusione delle Comunità energetiche e dell’Autoconsumo collettivo?

In primo luogo possono favorire lo sviluppo di comunità energetiche informando i cittadini e le imprese del proprio territorio. Poi potranno mettere a disposizione aree in disuso o tetti disponibili per l’installazione degli impianti e collaborare con il Gestore locale di distribuzione dell’energia elettrica e con il GSE, che gestirà gli incentivi. Nel PNIEC i tetti sono le aree da utilizzare prioritariamente per la realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili, onde evitare di consumare territorio, e quelli pubblici, lo dice la parola stessa, dovrebbero essere messi a disposizione di tutti. Inoltre, le Amministrazioni potranno avere ruolo di promotori, aggregatori, sviluppatori, anche utilizzando i finanziamenti europei per dare vita a iniziative solidaristiche, in risposta a situazioni di povertà energetica e operando tramite associazioni e enti ad essi collegati.

Non dimentichiamo poi che gli stessi Enti territoriali potranno partecipare direttamente alle comunità energetiche come soci per sopperire ai propri fabbisogni elettrici e ridurre l’impatto ambientale dei propri consumi. Il loro ruolo è centrale per lo sviluppo delle comunità energetiche e non potrebbe essere altrimenti perché il territorio rappresenta l’elemento con cui le comunità si identificano al punto che la normativa italiana prevede che vengano individuate delle modalità per favorire la partecipazione diretta delle Pubbliche amministrazioni alle comunità di energia rinnovabile. A tal fine l’Autorità di settore (ARERA) ha previsto che il GSE fornisca degli specifici servizi di assistenza territoriale alle amministrazioni, previa consultazione pubblica che il GSE ha recentemente provveduto ad avviare.

  • La sensibilizzazione dei cittadini è elemento fondamentale per lo sviluppo delle comunità nel nostro paese. Come si può comunicare il loro valore in modo semplice e diffuso?

Anzitutto con degli esempi. La Pubblica amministrazione può svolgere un ruolo importante anche in questa direzione avviando iniziative di comunità energetiche che coinvolgano i soggetti intorno a cui ruota la società civile come ad esempio le scuole: ecco che l’attuale sperimentazione assume un ruolo decisivo. Poi sensibilizzando e supportando il mondo dell’associazionismo, delle cooperative e degli enti del terzo settore presenti sul territorio perché svolgano ruolo di aggregatori, facendo leva sulla valenza sociale delle comunità anche come segno della ripresa e del costruire assieme una società sostenibile. E ancora informando e formando sul territorio tutte quelle categorie che potrebbero fungere da promotori come gli operatori del settore energetico e le Amministrazioni locali, e rendendo disponibili degli strumenti digitali facilmente accessibili a tutti coloro che vogliano approfondire e conoscere meglio i vantaggi di queste nuove realtà anche al fine di comprendere come potervi partecipare.

Come GSE siamo promotori di diversi progetti e iniziative che vanno dalla presenza attiva nelle scuole per promuovere la conoscenza dei temi legati alla sostenibilità ambientale, alla formazione e informazione per le pubbliche amministrazioni, imprese e gli ordini professionali e in particolare sulle comunità energetiche abbiamo avviato degli incontri su tutto il territorio nazionale con gli enti territoriali e tutte le principali associazioni di imprese e consumatori portatrici di interesse, consci di quanto sia necessario un coinvolgimento capillare e un confronto per far emergere tanto gli esempi virtuosi quanto le difficoltà implementative, al fine di trovare soluzioni da adottare poi a livello nazionale.

Stiamo poi portando avanti una consultazione per comprendere come facilitare l’accesso alle comunità e più in generale all’autoconsumo collettivo e coinvolgere le pubbliche amministrazioni e stiamo anche lavorando allo sviluppo ed all’evoluzione di strumenti digitali (quali, citandone uno, il Portale Autoconsumo Fotovoltaico) che facilitino la comprensione dei vantaggi connessi alla partecipazione a comunità energetiche e permettano delle valutazioni puntuali delle iniziative.

Siamo anche impegnati con delle campagne informative per il passaggio dei consumatori privati e delle piccole imprese dalla maggior tutela al mercato libero dell’energia nell’ambito delle quali intendiamo promuovere l’aggregazione e la partecipazione dei consumatori alle comunità energetiche cercando di valorizzarne la figura e di fargli assumere la parte di attore principale della svolta ecologica consci del fatto che il modo migliore per comunicare il valore delle comunità energetiche sia proprio mettere al centro il consumatore facendogli comprendere come la chiave della transizione stia nelle sue scelte consapevoli e nel suo saper assumere un ruolo sempre più attivo divenendo coproduttore di energia rinnovabile insieme agli altri membri della comunità.


Davide Di Giuseppe, 43 anni nato a Roma, ingegnere meccanico, laureato con lode alla Sapienza ha conseguito il diploma MBA presso il Politecnico di Milano.

Dopo aver lavorato allo sviluppo di progetti nel settore delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica nella multiutility ACEA, dal 2012 è al GSE dove si è occupato di qualifiche e verifiche di impianti a fonti rinnovabili e di valutazioni di progetti di efficientamento energetico, oltre che della co-redazione di numerose procedure e regole applicative. Negli anni 2015-2016 ha collaborato con il Ministero dello Sviluppo Economico come funzionario esperto di Energia dell’Ufficio di Gabinetto del Ministro per poi tornare al GSE ad occuparsi di Sistemi Efficienti di Utenza. Dal 2017 è Responsabile della Unità Sistemi di Produzione e Consumo ora divenuta Funzione Autoconsumo e Comunità Energetiche del GSE.