Arturo – nome di fantasia – lavora da anni in un’azienda di import export, nota a livello nazionale e internazionale nel proprio specifico settore. La factory aziendale, di fatto, è un magazzino organizzato in cui sfrecciano muletti e transpallet: il consumo energetico non è elevato, ma la disponibilità di coperture libere e ben esposte al sole è molta e, di certo, ricoprire il tetto di pannelli non sarà né motivo di scandalo né deturpazione del paesaggio quasi di periferia. L’azienda ci pensa e incarica Arturo di sondare il mercato nascente del fotovoltaico, di studiare il vantaggio dell’opportunità e relazionare la dirigenza.
Siamo nel giugno del 2009, è da poco entrata in vigore la Direttiva CE 2009/29, che prevede l’attuazione del Pacchetto clima-energia 20-20-20. Lo scenario italiano, poco caldo sul tema, vede il Governo impegnato a patrocinare le prime realizzazioni di impianti alimentati da energie rinnovabili. Nascono i cosiddetti Conti Energia, ovvero i Decreti Ministeriali che, da lì agli anni successivi, hanno spinto alla realizzazione di impianti fotovoltaici di medie dimensioni, installati sulle coperture di fabbriche e aziende a servizio delle stesse grazie al meccanismo dello Scambio sul Posto (SSP) prima e della tariffa premio per l’autoconsumo poi.
Affascinato dalle prospettive di un mercato nuovo e in accelerazione, l’amministratore delegato dell’azienda, così come tanti imprenditori italiani, ha quindi ceduto alla tentazione e ha deciso di installare un impianto fotovoltaico sul tetto della propria azienda, che fosse a servizio dell’attività produttiva e portasse reddito. Le fasi iniziali, successive alla costruzione dell’impianto, sembravano avvalorare la bontà dell’investimento, tutto filava nel verso giusto: l’impianto produceva bene, la resa era evidente, la gestione appariva semplice e tutto fluiva facilmente, grazie anche al supporto e alle cure della ditta che aveva costruito l’impianto e che, adesso, ne gestiva la manutenzione. Tutto ciò si traduceva in rendita, attraverso gli incentivi che il GSE pagava regolarmente a cui si aggiungevano i vantaggi derivanti dal risparmio in bolletta.
La grande spinta al settore delle energie rinnovabili e della green economy, tuttavia, ha iniziato a scricchiolare pochi anni dopo e la decrescita del settore fotovoltaico, nello specifico, ha visto concretizzarsi la definitiva battuta d’arresto proprio pochi anni dopo che l’azienda di Arturo ha realizzato il proprio impianto fotovoltaico. Con la fine del Quinto Conto Energia si sono chiusi i rubinetti dell’incentivazione statale e la valorizzazione dell’energia ceduta passava da un valore fissato per legge, al mercato libero. Di fronte a tale situazione l’intero settore del fotovoltaico è andato in crisi trascinando nel baratro tutte le realtà produttive che negli anni del boom si erano convertite al fotovoltaico. Anche la ditta che aveva costruito e curato la manutenzione dell’impianto ha subito profondi ridimensionamenti, lambendo il baratro del fallimento. Al presentarsi dei primi problemi di manutenzione, ad Arturo è stata scaricata ogni responsabilità operativa e amministrativa legata all’impianto, era da solo a gestire con le proprie forze l’impianto.
Nel frattempo, con l’emanazione del Decreto Ministeriale 31 gennaio 2014, il GSE ha iniziato la propria campagna di verifica e controllo sugli impianti fotovoltaici incentivati in conto energia, rendendo istituzionale il meccanismo delle ispezioni con sopralluogo. Le verifiche sugli impianti, già previste nei rispettivi conti energia, hanno subito un pesante aumento di numero e un severo inasprimento: l’occhio degli ispettori non si concentrava più sulla sola documentazione trasmessa al GSE (o caricata sul portale), ma ampliava il raggio d’azione e, di conseguenza, la quantità di documentazione necessaria ai fini della verifica. Da quell’anno in poi la macchina delle verifiche ha preso un avvio inarrestabile, contribuendo alla costruzione di statistiche drammatiche sulla percentuale di esiti negativi rispetto al quantitativo dei sopralluoghi e delle verifiche documentali effettuati. L’iter di verifica ha subito nel corso degli anni ulteriori complicazioni di procedimento: invece della documentazione cartacea gli ispettori hanno iniziato a richiedere un preciso elenco di documenti da caricare digitalmente sul portale GSE.
La perdita degli incentivi e la contestuale restituzione di quanto fino ad allora ricevuto era una prospettiva che le casse dell’azienda avrebbero subito come un colpo pesantissimo, se non addirittura fatale.
Arturo conosce bene la storia dell’impianto: quanti interventi sono stati fatti, quando, cosa è stato sostituito, del resto lavora in amministrazione e i numeri sono la sua comfort zone, ma al di là di quelli non sa esattamente cosa ci sia sull’impianto: sa che produce energia, che si traduce in remunerazione economica, ma l’aspetto tecnico e quello burocratico, di contenuto della documentazione che conserva, non gli appartengono.
Memore delle offerte di consulenza che gli erano state proposte nel tempo, ha ripreso contatti con gli esperti di settore che gli avevano consegnato la proposta più dettagliata, e che riteneva più strutturata. I tecnici incaricati si mettono subito all’opera, visionando le carte ma anche facendo un sopralluogo per simulare le mosse degli ispettori GSE.
Analizzano tutte le informazioni raccolte e fanno il punto della situazione, rilevando le carenze documentali e proponendo le soluzioni migliori per porvi rimedio. Poco meno di un anno dopo l’azienda di Arturo riceve da GSE la comunicazione che da lì a pochissimi giorni, con un preavviso irrisorio, l’impianto sarebbe stato oggetto di una verifica documentale con sopralluogo volta ad appurare che possedesse nel 2011 i requisiti per accedere agli incentivi statali e che gli stessi requisiti fossero verificati anche al momento dell’ispezione.
Arturo affronta serenamente la notizia, e anche la successiva verifica; gli ispettori sono ben lieti di constatare che non vi è alcuna carenza documentale e che tutte le sostituzioni avvenute nel tempo sono state comunicate correttamente al GSE. Investire nel fotovoltaico è stata una operazione etica e remunerativa, occorre però avere la consapevolezza che il tipo di investimento sostenuto è, prima ancora che tecnologico, burocratico e amministrativo. Si può discutere a lungo su questo punto ma resta un dato di fatto, una verità inconfutabile le cui sorti dipendono in larga parte dal GSE ma ancor più dai produttori, dalla loro corretta e oculata gestione delle carte di impianto.
Questa storia – di fantasia soltanto nel nome del protagonista ma non nei fatti – mette in evidenza quanto prevedere una verifica della documentazione di impianto prima che il GSE bussi alla porta sia più che mai avveduto. “Vegliate, perché non sapete in quale giorno il GSE verrà a trovarvi”. Potrebbe essere la parafrasi giusta che riassume quanto occorso, più prosaicamente il monito è quello di non farsi trovare impreparati, di non avere la “presunzione” che sia tutto a posto perché così sostiene chi ha realizzato l’impianto. La materia burocratica sottesa alle verifiche GSE è complessa, articolata e ricca di sfaccettature insidiose. Affidarsi agli esperti di settore è un investimento che può salvaguardare l’investimento.
a cura di Meg contractor – www.megcontractor.eu
Tratto dalla rivista Green Company Magazine (volume 11) – vedi anche tutti i numeri della rivista