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Il Governo blocca gli impianti a terra

ACEPER: “Secondo l’Istituto Nazionale di Economia Agraria, in Italia circa 12,8 milioni di ettari sono coltivabili e utilizzati in parte dal settore agricolo che però non ne sfrutta 1.219.593”

Il Decreto Legge 63 “Disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura, nonché per le imprese di interesse strategico nazionale” approvato il 15 maggio scorso, meglio conosciuto come Decreto Agricoltura, tra le molte disposizioni ne prevede alcune estremamente importanti per il fotovoltaico.

L’articolo 5 del Decreto, che modifica il D.Lgs. 199/2021, vieta di fatto l’installazione di impianti fotovoltaici a terra nelle zone classificate come agricole dai piani urbanistici, pur consentendo interventi di modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati, a condizione che non comportino un incremento dell’area occupata. Nelle aree agricole sarà possibile realizzare impianti fotovoltaici solo per progetti finalizzati alla costituzione di una Comunità energetica rinnovabile o finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), dal Piano nazionale degli investimenti complementari al PNRR (PNC) o da altri progetti necessari per il consegui mento degli obiettivi del PNRR. Proprio l’articolo 5, oltre a risultare poco chiaro e soggetto a interpretazioni diverse, ha destato molte preoccupazioni in ACEPER e in tutti gli operatori del settore delle rinnovabili perché, di fatto, impone forti limitazioni all’uso del suolo agricolo.

Il Rapporto Statistico annuale del GSE sul solare fotovoltaico [ne parliamo a pagina 16], dice che in Italia circa 16.400 ettari sono occupati da installazioni di impianti fotovoltaici a terra su una superficie totale del nostro Paese di 30.207.300, dei quali circa 12,8 milioni sono coltivabili e utilizzati in parte dal settore agricolo che però non ne sfrutta 1.219.593 (dato dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria). Quindi, anche se gli impianti fotovoltaici a terra raddoppiassero la potenza impegnerebbero altri 17mila ettari dell’oltre un milione non utilizzati. Proprio questo sottolinea Veronica Pitea, Presidente ACEPER: “Di fronte a questi numeri capire la posizione del Governo e provare a giustificare una chiusura così netta sull’istallazione degli impianti a terra, visto l’utilizzo dei terreni e viste le istallazioni che abbiamo fatto nel corso degli anni, diventa davvero difficile. Non stiamo tenendo conto del fatto che i 16.400 ha non sono nemmeno tutti agricoli ma anche terreni industriali”.

L’analisi numerica degli impianti per settore di attività, del lo stesso rapporto, mette in luce che circa 1.355.687 ettari sono impianti residenziali, 45.560 sono agricoli e 82.488 sono impianti industriali. “Ora noi abbiamo degli obbiettivi chiari da raggiungere entro il 2030 e potremmo pensare di farcela solo se il settore industriale cominciasse ad abbassare i suoi consumi che oggi cubano il 44% dei consumi totali a livello nazionale; questo 44% si traduce in circa 125,4 TWh (terawattora) e ne produce, sempre secondo i dati del GSE, 15.608 GWh (gigawattora), ovvero 15,6 TWh. Come facciamo ad abbattere i consumi se non incoraggiamo l’industria e poi blocchiamo anche le istallazioni a terra?”, chiede Pitea. “Come Presidente di ACEPER e in rappresentanza dell’Italia, ho appena presenziato alla Financial Inclusion Conference del World Business Angels Investment Forum (WBAF), partner affiliato del G20, in una delle sedi più prestigiose nel mondo con una storia di oltre 300 anni, la Borsa londinese, la principale piazza finanziaria europea, tra le prime al mondo in termini di capitalizzazione. Purtroppo però l’idea che il mondo si sta facendo del nostro Paese è che siamo instabili a livello governativo e va detto che l’ultima mossa sulle rinnovabili non ci aiuta, a livello di investimenti siamo sempre meno interessanti per i fondi esteri”, prosegue Pitea.

La preoccupazione nasce anche dall’utilizzo dei fondi europei: il Dipartimento per le politiche di coesione, al 31 di cembre 2023, diceva che su 74 miliardi concessi abbiamo attivato progetti per meno del 6,5% e, dato ancor più preoccupante, abbiamo speso meno del 0,75% del totale. “In tutto ciò, per quello che ci compete, non stiamo, nono stante i numeri lo stiano chiedendo, dando nessun tipo di incentivo all’industria per poter abbattere i costi e l’utilizzo di energia prodotta da fonti fossili – conclude la Presidente di ACEPER –. Sarebbe facile inserire un credito d’imposta per le aziende virtuose e produttive, il fotovoltaico deve diventare un bene strumentale. Vorremmo fare a questo punto due domande. Una direttamente al MASAF: perché, visti i dati che il GSE ci fornisce sulle istallazioni a terra e visto l’inutilizzo del suolo, è così determinato a bloccare le istallazioni a terra? E la seconda domanda va al MISE: perché non ci sono manovre finanziarie importanti per le PMI produttive che possano permettere all’Italia di diventare veramente green, visto che abbiamo i fondi per farlo?”. Un’ulteriore complicazione arriva dall’intesa raggiunta a inizio giugno dalla Conferenza Stato-Regioni, sullo schema di decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, del Ministero della cultura e del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste: “Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili”.

Se da un lato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto, ha dichiarato: “Accogliamo l’accordo con grande soddisfazione, è un obiettivo raggiunto. Abbiamo sbloccato un decreto lungamente atteso, un nuovo tassello verso la decarbonizzazione”. Dall’altro ACEPER e moltissimi operatori del settore delle energie rinnovabili ma anche organizzazioni come Greenpeace, Legambiente e WWF hanno espresso invece ulteriori preoccupazioni perché non solo la norma recepisce in toto le limitazioni imposte al fotovoltaico nei terreni agricoli dal Decreto legge Agricoltura ma addirittura sembra ampliarle. L’ultima versione del decreto lascia infatti ampio margine di manovra alle Regioni nella selezione delle aree idonee, di quelle non idonee e di quelle ordinarie. Ne potrebbe derivare un quadro di regole confuso e complesso con leggi regionali anche profondamente disomogenee tra loro. “Altro che corsie preferenziali per le rinnovabili, – hanno dichiara to congiuntamente Greenpeace, Legambiente e WWF – il decreto aree idonee si configura come una ulteriore barriera per lo sviluppo delle rinnovabili in Italia e quindi non solo per le politiche climatiche, ma anche per l’indipendenza e la sicurezza energetica”.

Va sottolineato che il “DL Agricoltura”, in vigore dal 16 maggio 2024 in quanto Decreto Legge, dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni, pena la perdita di efficacia sin dall’inizio. È possibile, inoltre, che in sede di conversione possa essere modificato e, pertanto, non può escludersi che le previsioni di cui all’articolo 5 finalizzate a limitare l’uso del suolo agricolo possano essere emendate. Lo stesso può dirsi per il “Decreto aree idonee” che, al momento dell’andare in stampa, è ancora indicato come “bozza” seppur definitiva.


Tratto dalla rivista Green Company Magazine (volume 15) – vedi anche tutti i numeri della rivista