Nel mondo del lavoro il fattore fiducia costituisce presupposto imprescindibile del complesso assetto d’impresa, dovendo il datore di lavoro poter fare necessario affidamento sulla leale collaborazione del prestatore e sul corretto adempimento delle obbligazioni che dal rapporto scaturiscono a carico di quest’ultimo.
Per molto tempo è stata oltremodo diffusa, quale impostazione mentale di gran parte della forza lavoro, l’errata convinzione della sostanziale irrilevanza, a fini disciplinari, delle condotte poste in essere dai prestatori al di fuori del contesto lavorativo, in considerazione della ritenuta netta separazione tra sfera comportamentale privata e svolgimento delle mansioni in seno all’organizzazione datoriale.
Oggi, invece, si è finalmente affermata l’idea della profonda incidenza che determinate condotte disdicevoli dei lavoratori, sebbene assunte nella vita privata extralavorativa, possono avere sulla prosecuzione del rapporto di lavoro, in quanto idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario e l’interesse del datore di lavoro alla stessa prosecuzione della collaborazione lavorativa.
Parliamo di azioni e condotte estranee alla sfera del contratto ma che, per la loro gravità e natura, possono far venir meno quella fiducia integrante il presupposto essenziale della collaborazione tra datore e lavoratore, in quanto lesive dell’interesse dell’impresa o, comunque, manifestamente contrari all’etica comune ed alle norme del comune vivere civile.
Ecco che, allora, la lesione del vincolo fiduciario, quale presupposto immanente all’adottabilità del licenziamento per giusta causa, può rilevare non solo in conseguenza di specifici inadempimenti contrattuali, ma anche in ragione di condotte extralavorative che, seppure tenute al di fuori dell’azienda e dell’orario di lavoro e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione, nondimeno possono essere tali da annullare quel presupposto di fiducia tra le parti, qualora abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto e compromettano le aspettative d’un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività.
Va, però, evidenziato come non ogni condotta extralavorativa sia intrinsecamente idonea ad incidere sugli obblighi di collaborazione, fedeltà e subordinazione, così da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario datoriale o compromettere il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate. Non appare, infatti, possibile tracciare una corrispondenza rigida tra l’ipotetica rilevanza penale (ovvero civile o amministrativa) di una determinata condotta e la conseguente sussistenza di una giusta causa di licenziamento e risoluzione del rapporto lavorativo. Non è inusuale notare, invero, come il vincolo fiduciario immanente ad una determinata vicenda lavorativa possa risultare, a volte, maggiormente leso da un atto illecito ma non penalmente rilevante, piuttosto che da un fatto costituente reato.
Ed ecco allora che nella elaborazione casistica particolarmente ricca degli ultimi anni, oltre a condotte costituenti propriamente reato, vengono in rilievo una serie di comportamenti che, se pur non costituenti in sé fattispecie di illecito a rilevanza penale o amministrativa, nondimeno rivestono una particolare negativa incidenza sull’ambito morale del soggetto, sull’affidamento nel corretto futuro svolgimento della prestazione da parte del lavoratore interessato e sulla reputazione stessa dell’azienda datrice di lavoro, a livello di percezione esterna dell’immagine sociale.
Pensiamo, ad esempio, all’uso di sostanze stupefacenti al di fuori dell’ambiente lavorativo ad opera di un lavoratore adibito a mansioni di conducente di autobus, fattispecie che la Suprema Corte di Cassazione ha nondimeno riconosciuto come certamente rilevante e validamente giustificativa del comminato licenziamento disciplinare, siccome condotta palesemente violativa del “minimo etico” e lesiva dell’immagine aziendale di trasporto pubblico, a prescindere dalla ricomprensione della descritta condotta nell’ambito del r.d. n. 148 del 1931 (vedasi, in proposito, Cass., n. 12994/2018).
Ciò in quanto quel che davvero rileva, per il datore di lavoro, non è la formulazione di un giudizio di massima sulla moralità del lavoratore, quanto piuttosto il compimento di una valutazione sostanziale sulla compatibilità tra lavoratore ed ambiente lavorativo e sulla persistenza, attuale e prognostica, dell’elemento fiduciario.
In tale contesto plasmante, dunque, la commistione tra sfera privata e rilevanza esterna delle condotte extralavorative rappresenta la chiave di volta di una stessa concezione di impresa che sembra estendere i propri confini molto al di là delle mura aziendali, muovendosi in un’ottica proattiva di rilancio della centralità diffusa del rispetto delle regole etiche e giuridiche del corretto vivere civile, in ogni contesto di base e di riferimento.
A cura di Paolo Patrizio – Founder dello Studio Legale Patrizio – www.studiolegalepatrizio.it
Tratto dalla rivista Green Company Magazine (volume 11) – vedi anche tutti i numeri della rivista