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Lavoro povero. Contro gli stipendi bassi la detassazione dei contratti territoriali

Serve una nuova stagione di relazioni industriali e sindacali e maggiore responsabilità sociale per evitare la fuga all’estero e attrarre giovani talenti

Stipendi bassi, costo della vita alto e difficoltà ad arrivare a fine mese. Molti italiani (non solo lavoratori, ma anche pensionati) devono tirare la cinghia per mantenere una famiglia e la propria esistenza in maniera dignitosa. Ancora più difficile la situazione per i giovani. In barba all’articolo 36 della nostra Costituzione. Honor ha condotto una ricerca su 18 Paesi europei in merito alle difficoltà finanziarie che le famiglie si vedono costrette ad affrontare ogni mese. Il periodo più difficile per gli italiani? Gennaio. Inoltre, a livello generale, quasi un terzo degli italiani (31%) ammette di essere in difficoltà economiche e non arriva alla quarta settimana del mese. Un dato preoccupante, ma nettamente migliore rispetto a molti altri Paesi europei: l’Italia, infatti, si posiziona al secondo posto tra le nazioni più “virtuose”, subito dopo il Regno Unito (il 17% ha problemi entro il 21° giorno del mese) ma meglio di Germania (5° posto, 38%) e Francia (7° posto, 39%). I Paesi con il dato più critico sono la Romania (62%) e la Bulgaria (57%).

La fascia più colpita è quella dei giovanissimi, specialmente gli under 25, che probabilmente risentono della stretta economica a causa delle disponibilità limitate. Quasi la metà degli under 25 italiani hanno problemi economici entro il 21 del mese: anche in questo caso, rispetto ai coetanei europei, i giovani italiani si posizionano al quarto posto, dipingendo così un panorama leggermente più “roseo” a livello internazionale.

Tra le preoccupazioni condivise dai giovani italiani figura, al primo posto, il timore di rimanere soltanto con una cifra pari al guadagno settimanale sul conto (per il 24%), seguita dalla necessità di dover ricorrere all’utilizzo della carta di credito (per il 20%).
In questo panorama, le persone su cui fare affidamento per ricevere consigli finanziari sono fondamentali: la ricerca sottolinea importanti e curiose differenze tra le diverse generazioni. Se infatti più della metà degli under 25 ricorrono ai genitori per chiedere in ambito economico, gli over 55 tendono a vedere la banca come punto di riferimento.

Anche da un recente report di Fondazione Nord Est sui giovani italiani che emigrano, nello specifico della ricerca si fa riferimento alle regioni settentrionali, emerge come gli expat diano grande importanza alla meritocrazia e vadano all’estero in cerca di opportunità di lavoro migliori, perché non trovano un ambiente positivo nelle imprese italiane con equilibrio vita-lavoro e una retribuzione congrua. L’85% degli intervistati pensa infatti che la meritocrazia sia minore in Italia rispetto agli altri Paesi. Il 68,3% dei giovani italiani all’estero sono emigrati proprio per motivazioni legate al lavoro o allo studio, e il 25,8% lo ha fatto per trovare una migliore qualità della vita.

Oltre a quanto rilevato, il gap principale riscontrato da Reverse è negli stipendi base che vengono assegnati ainizio della carriera lavorativa. Se si considera il caso di un sales manager, in Italia generalmente lo stipendio di entrata di uno studente che ha appena terminato l’Università è di 25mila euro lordi, mentre in Francia si parte da almeno 32mila euro e in Germania da 35mila, ma anche 40mila a fronte anche di una tassazione simile. Altro esempio è la figura del contabile: anche qui su territorio nazionale si parte da 25mila a 35mila euro, in Germania da 40mila fino ad arrivare a 60mila euro di base, mentre in Francia tra i 35mila e i 45mila euro circa.

Un altro aspetto di differenza fra l’Italia e gli altri Paesi è nelle opportunità di crescita professionale: innanzitutto, è facile crescere rapidamente all’estero, ed è poi comune vedere percorsi di carriera non lineari, dove una persona può passare da un settore all’altro o da un ruolo tecnico ad uno manageriale molto più facilmente e rapidamente. Questo permette a molti di accelerare il proprio percorso professionale, è infatti frequente vedere giovani in posizioni di leadership. Da cosa dipende questo? Da un lato da una fiducia maggiore verso le generazioni più giovani, dall’altro la presenza di un mercato del lavoro più flessibile in riferimento proprio alla tipologia di contratti. In Italia esiste la possibilità di assumere con contratto determinato, perché l’indeterminato è molto vincolante per l’azienda, mentre – per esempio in Germania e in Francia – licenziare anche con un contratto indeterminato è molto più facile.

Salari in rialzo per i giovani, ma non basta a evitare l’espatrio

Mercer ha annunciato i risultati della Total Remuneration Survey 2024: secondo l’indagine, la retribuzione d’ingresso dei giovani al loro primo impiego in Italia è di circa 30.500 euro, con un aumento del 5,4% rispetto al 2021. Lo studio analizza i trend retributivi per 2.700 ruoli in quasi 700 aziende operanti sul territorio italiano, con un fatturato medio di 969 milioni di euro e circa 1.700 dipendenti. Secondo i risultati, tra i settori più remunerativi al primo impiego figurano Life Science (33mila euro nel 2024, +8% rispetto alla media italiana) ed Energy (32.167 euro nel 2024, +5% rispetto alla media italiana), mentre Manifatturiero, High tech e Servizi non finanziari presentano valori inferiori (rispettivamente -1%, -1% e -8% rispetto alla media italiana). La survey offre poi una prospettiva sul panorama europeo. I neolaureati italiani si collocano sempre nella parte bassa della classifica degli stipendi, sopra solo ai colleghi spagnoli (28.500 euro nel 2024) e polacchi (16.675 euro nel 2024). In cima alla classifica, Svizzera (86.722 euro nel 2024), Germania (53.300 euro nel 2024) e Austria (51.100 euro nel 2024).

«I risultati mettono in luce come ancora, nel 2024, la retribuzione media dei neo-laureati italiani risulti la più bassa tra le principali economie europee – spiega Marco Morelli, amministratore delegato di Mercer Italia -. In un mercato del lavoro sempre più globale, la scarsa competitività dei salari italiani influenza le scelte professionali dei giovani, spingendoli a cercare opportunità all’estero per ottenere compensi più elevati. È fondamentale che le aziende considerino l’opportunità di rivedere le loro strategie di Total Reward, non solo per allinearsi agli standard europei, ma anche per trattenere i talenti di cui l’Italia ha bisogno per promuovere l’innovazione e la transizione digitale. La partita però, è più ampia e va oltre il solo aumento retributivo: bisogna offrire percorsi di formazione continua, offerte trasparenti, ambienti di lavoro orientati alla flessibilità e al benessere. Le aziende devono divenire reliable per i giovani, cioè organizzazioni di cui esser fieri e nei cui valori rispecchiarsi».

Guardando agli step successivi, emerge una fotografia altrettanto significativa per i livelli di carriera più avanzati. I professional in Italia continuano a occupare le posizioni più basse nella classifica europea con uno stipendio medio di 77.647 euro (- 24% rispetto alla media europea di 101.860 euro), superiore solo a quello medio dei colleghi polacchi (65.408 euro). Gli executive italiani riescono a raggiungere compensi (285.156 euro medi) più in linea con la media del continente (317.826 euro) distanziandosi solo del -10% e posizionandosi sopra a Polonia (279.120 euro), Spagna (277.333 euro) e Francia (261.511 euro).

Pur di migliorare lo stipendio, però, si è disponibili anche a trasferirsi. La famiglia è un supporto economico per circa un lavoratore su tre. Questo il quadro che emerge dal sondaggio di Indeed, che ha indagato il tema del giusto salario e la soddisfazione dei lavoratori italiani. Dall’indagine, che ha coinvolto 1.000 persone di età maggiore di 18 anni interessate a nuove possibilità di occupazione, è emerso che, il 45% dei lavoratori italiani ritiene di essere pagato meno di quanto dovrebbe, con un 10% che crede che lo scarto sia significativo. Per quanto sia una problematica trasversale, la percentuale sale al 49% tra le lavoratrici donne a al 53% nella fascia d’età tra i 35-44 anni. Migliorare lo stipendio è una priorità, probabilmente dettata dal fatto che oltre il 62% dello stipendio viene in media assorbito dalle spese essenziali. Un intervistato su tre circa (31%), inoltre, dichiara di riuscire a farsi bastare quel che guadagna perché riceve supporto finanziario da parte della propria famiglia. La percentuale sale al 58% tra i lavoratori appartenenti alla fascia d’età tra i 18-24 anni, ma si attesta al 33% anche nella fascia d’età tra i 35-44 anni e all’incirca al 28% per i lavoratori nella fascia di età dai 55 in su.

Uno su due dei lavoratori insoddisfatti del proprio stipendio prenderebbe in considerazione di lasciare il proprio lavoro e il 41% si dichiara pronto a dare le dimissioni se non otterrà un aumento nel breve periodo. Per un lavoro e uno stipendio migliore si è anche disposti a trasferirsi. Il 58% degli intervistati si sposterebbe in Italia, mentre il 44% anche all’estero. I più propensi a trasferirsi in un altro luogo in Italia sono i lavoratori nella fascia d’età tra i 25-34 anni (66%), mentre la fascia tra i 18-24 anni registra la percentuale più alta di lavoratori disposti a spostarsi all’estero (61%).

Opportunità di carriera e di guadagno anche in Italia

PageGroup ha pubblicato la guida relativa agli stipendi e alle tendenze del mercato del lavoro nei prossimi mesi. Il 2024 è stato caratterizzato da incertezza e da instabilità economica, fattori che hanno inevitabilmente avuto un impatto sulle aziende e sui professionisti, aumentando il divario tra le rispettive aspettative. «Il 2024 – precisa Tomaso Mainini, amministratore delegato di PageGroup Italia e Turchia – è stato un anno complesso, tra inflazione in costante aumento, difficoltà economiche a livello globale e conflitti in molte parti del mondo. Il 2025 si prospetta però un anno di ripresa: non mancheranno interessanti opportunità soprattutto in quei settori che, rispetto ad altri, sembrano risentire meno della crisi. Mi riferisco in particolare al comparto Finance ed Engineering & Manufacturing. È ormai assodato che i professionisti stiano diventando sempre più esigenti su stipendi, flessibilità, percorsi di carriera, e che le aziende facciano molta fatica a conciliare queste aspirazioni con le proprie esigenze di business. Colmare questo gap è indispensabile, soprattutto in questa fase caratterizzata da mancanza di profili altamente qualificati».

Finance: si consolida il ruolo a supporto del business. Sono sempre più ricercati professionisti skillati, con ampia professionalità. Aumentano gli investimenti su competenze specifiche di C-Level, in grado di definire ed implementare strategie finanziarie che creino valore per l’azienda e che guidino al cambiamento in un mercato del lavoro sempre più digitalizzato e data centrico. Da quest’anno, abbiamo notato i primi effetti dell’introduzione di sistemi legati all’intelligenza artificiale che permette, da un lato, di ottimizzare processi contabili, amministrativi e di reporting, dall’altro, di migliorare skill legate ai processi di pianificazione strategica e previsionale. Tra i profili più richiesti, troviamo il Cfo, il controller in ambito Sales, il financial e industrial e le figure di responsabile amministrativo. Retribuzioni interessanti per questi professionisti: Cfo con più di dieci anni di esperienza possono superare i 130mila euro lordi l’anno, controller con 5-10 anni di esperienza hanno un range retributivo tra 50mila e 70mila euro e infine il responsabile amministrativo si attesta su un range tra i 45mila e i 60mila euro in base agli anni di esperienza nel ruolo.

Engineering & Manufacturing: digitalizzazione, sostenibilità e intelligenza artificiale le parole chiave per il 2025. L’evoluzione dei professionisti nel settore Engineering & Manufacturing in Italia nel 2025 rifletterà diverse tendenze globali e nazionali, guidate da innovazioni tecnologiche, transizioni sostenibili e cambiamenti nei modelli produttivi. I professionisti che operano in questi ambiti dovranno concentrarsi su intelligenza artificiale, big data e robotica avanzata per rendere sempre più efficienti i processi di produzione, ma anche sulle tecnologie che migliorano il risparmio energetico, riducono il consumo di materiali e promuovono il riciclo e il riutilizzo. I profili più ricercati saranno il direttore R&D, il responsabile dell’Ufficio Tecnico e il project manager. Per i direttori R&D si prevedono stipendi compresi tra i 50mila e i 60mila euro annui lordi con meno di cinque anni di esperienza, tra 60mila e 70mila euro dai cinque ai dieci anni e più di 70mila euro con più di dieci anni di esperienza nel ruolo. Un responsabile dell’Ufficio Tecnico, invece, percepisce una Ral-Retribuzione annua lorda in ingresso di 55-65mila euro che cresce fino a superare gli 80mila man mano che aumentano gli anni di lavoro sul campo. Lo stipendio di un project manager, infine, parte da 50-60mila euro lordi all’anno e supera i 70mila euro al crescere dell’esperienza. Per tutti questi ruoli sono previsti bonus e benefit molto interessanti.

Sales & Marketing: nonostante l’anno sfidante le aziende hanno necessità di vendere e ampliare il proprio business. La ricerca di profili commerciali e marketing ha segnato un delta positivo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo dato evidenzia come gli investimenti sul capitale umano all’interno di quest’area siano stati ritenuti strategici per mantenere le quote di mercato o incrementarle. Sotto questo punto di vista le figure di business development (direttore commerciale e sales manager) e quelle di marketing strategico (product marketing in primis), si confermano essere tra le più richieste sul mercato, a prescindere dal settore. Le retribuzioni per questi profili sono interessanti: un direttore commerciale con meno di cinque anni di esperienza nel ruolo percepisce tra gli 85mila e i 95mila euro lordi all’anno che possono superare anche i 130mila euro per chi ha più di dieci anni di esperienza; un sales manager con esperienza di 5-10 anni, invece, guadagna mediamente tra gli 85mila e i 100mila euro lordi all’anno.

Information technology: il panorama It, in continua evoluzione, è alla costante ricerca di professionisti qualificati. Il settore tech cambia velocemente e questa rapidità supera di gran lunga il numero di professionisti adeguatamente formati. Questo ritmo di cambiamento continuo impone alle aziende una grande sfida: trovare figure professionali che non solo siano in grado di padroneggiare le nuove tecnologie, ma che conservino anche competenze solide su tecnologie più datate, spesso ancora fondamentali per molti settori. Nei processi di ricerca e selezione, diventa cruciale trovare strategie che consentano di attrarre candidati in grado di rispondere a queste esigenze: una delle soluzioni più efficaci, soprattutto quando si è vincolati da limiti di budget (in termini di Ral, bonus o benefit) è quella di intraprendere un’analisi di fattibilità dettagliata ed eventualmente avviare un processo di reskilling per aggiornare le competenze delle risorse già presenti in azienda e non perdere importanti opportunità di business. Data la scarsità di profili e competenze, le aziende sono disposte a riconoscere stipendi, anche in ingresso, molto interessanti: un direttore It tra i cinque e i dieci anni di esperienza, per esempio, guadagna tra 60mila e 100mila euro lordi all’anno ai quali si aggiungono bonus e benefit; un junior software developer ha una retribuzione annua lorda compresa tra i 35mila e i 50mila euro, che possono arrivare a oltre 65mila euro con l’aumento del livello di seniority.

Tax & Legal: sostenibilità, digitalizzazione e compliance per un settore in forte espansione. Secondo i dati elaborati da PageGroup, sono cresciute del 25% le richieste di professionisti qualificati soprattutto nel mondo energy e in quello della cyber sicurezza. La crescente complessità delle normative e l’evoluzione delle esigenze aziendali stanno alimentando una domanda sempre più elevata di professionisti specializzati, in grado di affrontare le sfide legali e fiscali che caratterizzano il contesto economico attuale. In questo panorama, le competenze tradizionali, seppur fondamentali, non sono più sufficienti a soddisfare le esigenze delle aziende, che richiedono sempre più figure con un mix di expertise avanzate e capacità trasversali. I professionisti oggi devono possedere una solida base tecnica e, allo stesso tempo, skills che spaziano dalla leadership alla capacità di lavorare in team, con un forte accento sulla gestione efficace del tempo e delle priorità. Tra i trend più interessanti, in primo piano c’è il crescente interesse per i profili legati alla sostenibilità, un ambito che sta diventando sempre più centrale per le aziende che devono adattarsi a normative ambientali più stringenti e a strategie di Esg-Environmental, social, governance. Parallelamente, il settore dell’intelligenza artificiale si distingue per l’attenzione a tematiche normative e contrattuali legate all’adozione di tecnologie avanzate. Anche la protezione dei dati mantiene un ruolo cruciale, spinta dalla necessità di conformarsi a normative come il Gdpr e di gestire rischi crescenti legati alla cybersecurity. Infine, il settore del tax risk management continua a guadagnare terreno, con un aumento della domanda di esperti capaci di supportare le imprese nella gestione proattiva dei rischi fiscali e nell’adeguamento a normative in continua evoluzione. Queste tendenze evidenziano in maniera inequivocabile la sempre maggior strategicità delle funzioni fiscali e legali, nell’ottica di supportare innovazione, compliance e sostenibilità aziendale.

«Trovare il professionista giusto – aggiunge Mainini – diventa sempre più complesso. Abbiamo riscontrato, sempre con maggiore frequenza, il ricorso alle controfferte, ovvero aziende che offrono un aumento significativo del pacchetto retributivo alle risorse in procinto di lasciare il proprio posto di lavoro. Il riconoscimento però delle risorse dovrebbe avvenire prima della decisione ormai maturata di lasciare l’azienda. Il tema dello smart working, per molte figure professionali è una condizione ormai imprescindibile sulla quale quasi nessuno è più disposto a negoziare. A livello generale, il gap con il resto d’Europa e l’impatto dell’inflazione continuano a rappresentare sfide significative per i salari dei nostri professionisti. I lavoratori italiani, infatti, non hanno dubbi: sono convinti che il loro attuale stipendio sia spesso inadeguato rispetto alle responsabilità e al costo della vita. La Direttiva europea sulla trasparenza retributiva, in arrivo entro il 2026, potrebbe portare miglioramenti nell’equità delle retribuzioni, anche in Italia, ma la strada è ancora piuttosto tortuosa. Dal nostro osservatorio vediamo che molte aziende stanno pianificando aumenti salariali moderati (entro il 5%) nel breve termine per provare a migliorare la vita dei propri dipendenti che spesso sono in difficoltà a causa della diminuzione del potere d’acquisto e dell’inflazione che, per fortuna, sembra stia rallentando. Possiamo dire, quindi, che ci sono segnali di moderata ripresa anche su un aspetto cruciale per il benessere delle persone. Siamo, dunque, cautamente ottimisti».

Tra responsabilità sociale e contratti territoriali

Il lavoro povero è da tempo al centro di questioni economiche e politiche. Una nuova stagione di relazioni industriali e sindacali, una maggiore responsabilità sociale, meno burocrazia e tassazione ridotta dei contratti territoriali potrebbero fidelizzarre i lavoratori e attrarre i talenti. «La possibile soluzione della questione salariale è in larghissima parte nelle mani degli attori del nostro sistema di relazioni industriali e non certo della sola politica. Che, semmai, dovrebbe sviluppare una seria riflessione sui condizionamenti non sempre positivi creati dalle misure di incentivazione della contrattazione di produttività e del welfare aziendale che sono, oggi, prive di attendibili sistemi istituzionali di monitoraggio e valutazione. Lo stesso Ezio Tarantelli, in una lezione purtroppo dimenticata, ricordava che le relazioni industriali sono un sistema sociale e istituzionale e non un semplice meccanismo di fissazione delle retribuzioni. Il volerle ridurre a un mero sistema di regolamentazione del salario, denuncia “una comprensione solo parcellare di un sistema sociopolitico ben più complesso”. Chi crede nel protagonismo dei corpi intermedi, e cioè nella necessità di coniugare e comporre in termini politici l’economico col sociale, deve ripartire da questa riflessione, già il giorno dopo lo sciopero generale, e contribuire a fare chiarezza sulla bassa crescita della nostra economia, sulle conseguenti reali dinamiche del mercato del lavoro e dei salari, in un Paese che vive una fase di profonda trasformazione a livello demografico, tecnologico e ambientale. Serve, dunque, una nuova stagione di relazioni di lavoro e di responsabilità politica e sociale, in una prospettiva davvero europea». Così scrivono il presidente del Cnel Renato Brunetta e il giuslavorista Michele Tiraboschi.

«Mai come oggi è necessario retribuire in maniera adeguata i giovani talenti per evitare che fuggano all’estero. Le nostre pmi, se vogliono crescere, hanno il compito di ricompensare in maniera equa e competitiva le nuove leve con il fine di influenzarne positivamente la motivazione, la produttività e la fedeltà», ha dichiarato Veronica Pitea, presidente di Aceper-Associazione dei consumatori e produttori di energie rinnovabili che conta oltre 10mila associati. Aceper si unisce così al coro di voci che coinvolge anche la ricerca effettuata da Il Sole 24 Ore. Il 57% dei giovani disoccupati oggi rifiuta un impiego perché la retribuzione è sotto le aspettative. Inoltre, tra gli occupati, un terzo sta cercando di cambiare lavoro e il 50% di questi lo farebbe a causa dello stipendio ritenuto troppo basso. Nel contesto delle aziende associate ad Aceper, si registra una percentuale di turnover sorprendentemente bassa, pari all’1%: «Questo dato evidenzia come i dipendenti che entrano a far parte delle nostre organizzazioni tendano a rimanere poiché lavorano in un ambiente che valorizza il loro contributo. Gli impiegati sono impegnati per sei ore al giorno, ma sono remunerati come se ne lavorassero otto. Tale strategia non solo aumenta la soddisfazione dei lavoratori, ma contribuisce anche a una cultura aziendale positiva e motivante», ha sottolineato Pitea. Un altro degli elementi che spesso viene a mancare nelle pmi italiane è il cosiddetto welfare aziendale: «Le nostre aziende dimostrano una particolare attenzione al benessere dei propri dipendenti. Ogni venerdì pomeriggio il lavoro termina alle 13, offrendo così la possibilità di un lungo weekend. Inoltre, i dipendenti non sono tenuti a lavorare durante il fine settimana e beneficiano di quasi 90 giorni di ferie all’anno. Queste condizioni stimolano i lavoratori che risultano più produttivi, come se fossero impiegati per 12 ore al giorno. Aggiungo che testiamo queste modalità da oltre due anni in tutte le nostre aziende con risultati pazzeschi. In definitiva ritengo che un corretto pacchetto retributivo, assieme a condizioni di lavoro favorevoli, non solo favoriscano la soddisfazione dei dipendenti, ma rappresentino anche un investimento strategico per le aziende. È fondamentale che le organizzazioni comprendano l’importanza di attrarre e trattenere i talenti, riconoscendo il loro valore attraverso una remunerazione competitiva e opportunità di crescita personale e professionale», ricordato Pitea.

Una risposta efficace potrebbe arrivare anche dalla detassazione dei contratti territoriali. Usando come modello sperimentale Milano. Lo sbilanciamento nel rapporto tra stipendi e costo della vita nel capoluogo lombardo è un fatto ormai evidente, complice non solo un mercato degli affitti che registra +70% rispetto al dato nazionale (dati Confindustria), ma più in generale l’aumento di molti beni e servizi, che sono cresciuti più che altrove. Non si può dire lo stesso per gli stipendi, come emerge dalla ricerca condotta da Adesso! e dal Think tank Tortuga e sostenuta da un gruppo di docenti universitari di diritto del lavoro e di economia delle Università milanesi coordinato dal professore Maurizio Del Conte. I salari lordi orari dei lavoratori milanesi presentano delle sacche di insufficienza concentrate in fasce particolarmente svantaggiate della popolazione. Hanno i redditi più bassi i giovani, gli operai meno qualificati, i dipendenti di aziende micro-piccole. I salari bassi a Milano sono più alti della media nazionale dei salari bassi solo di qualche centesimo l’ora. E più bassi della media lombarda. Parliamo di centesimi a fronte di un costo della vita elevato. In particolare in salari bassi non arrivano a 8,5 euro l’ora a fronte di una soglia di povertà nella città metropolitana calcolata su dati Istat in 10 euro l’ora. In altri termini nella città metropolitana esiste una crescente emergenza legata al lavoro povero.

A fronte di tale emergenza, Adesso! e Tortuga hanno studiato i modelli adottati da altre città internazionali per rispondere alla medesima criticità. Consapevoli che sia fondamentale tener conto delle specificità del nostro sistema giuridico e di relazioni sindacali, sono giunte ad individuare nella contrattazione territoriale lo strumento più efficace per intervenire sulla dimensione milanese. La proposta è semplice: integrare i minimi salariali previsti dai contratti nazionali in ragione del differenziale di costo della vita della città metropolitana di Milano attivando la leva dei contratti territoriali. Partendo da quelli che esistono già, introducendo anche strumenti volti a riequilibrare il rapporto tra costo della vita e stipendi, sia dal punto di vista del welfare territoriale sia dal punto di vista del welfare aziendale.

Nel dibattito che ne è seguito sono emerse posizioni favorevoli e altre che, viceversa, indicano nella sola contrattazione nazionale la risposta alle esigenze milanesi. Tuttavia pare una risposta insufficiente: la contrattazione nazionale da sola rischia di risultare inadeguata, difatti pochi settori hanno ottenuto con la contrattazione aumenti salariali rilevanti, senza contare che il tempo medio di attesa per i rinnovi è aumentato nel 2023 da 20,5 a 32,2 mesi. Al tempo stesso, per favorire una maggiore efficacia della contrattazione territoriale, c’è bisogno di un impegno diretto e fattivo dell’amministrazione, sia nella sua veste di datore di lavoro che nella sua fondamentale funzione di impulso nella realizzazione di un modello metropolitano socialmente sostenibile. In questa prospettiva sollecitiamo la politica milanese a farsi carico del problema, prendendo atto del dato di realtà sintetizzato nell’indicatore economico dei 10 euro orari, risultante dallo studio validato dalla comunità scientifica di riferimento a livello metropolitano.

«C’è un problema diffuso relativo agli stipendi bassi e al lavoro povero che ha un impatto profondo su chi lavora a Milano e anche sull’identità della nostra città. Milano è sempre stata una metropoli delle opportunità diffuse, rischia di diventare respingente. La nostra proposta è semplice, si basa su strumenti che esistono già. Serve la volontà della politica cittadina, che legittimamente può scegliere strade diverse per arrivare allo stesso risultato. Ma non può restare immobile, girare la testa dall’altra parte. Milano è stata un laboratorio di giustizia sociale, capace di tenere insieme sviluppo economico e solidarietà. Deve tornare a esserlo: servono risposte chiare e immediate all’emergenza stipendi», ha concluso Tomaso Greco, co-fondatore Adesso!


Vedi qui l’articolo completo di Avvenire del 29/01/2025

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