Mentre il mondo cerca di reinventare il capitalismo e costruire una nuova economia non più lineare, ma circolare che si adatti alla teoria economia della ciambella di Kate Raworth, esiste un movimento, anzi diversi movimenti, che stanno già ripensando ed operando per cambiare ora i proprimodelli di business.
Emergono, infatti, sempre più aziende e organizzazioni che hanno deciso di cambiare il proprio impatto sull’economia e sull’ambiente inserendo il bene comune e la sostenibilità nei propri piani, senza per questo abbandonare i propri obiettivi storici.
Partiamo però dalla Doughnut Economics, proprio l’economia della ciambella (quella con il buco che richiama i grafici esplicativi della teoria). Il concetto è stato lanciato nel 2012 dalla economista inglese Kate Raworth (Università di Oxford) che lo ha ripreso e sviluppato in un libro del 2017 “Doughnut Economics: seven ways to think like a 21st century economist”. Il paradigma afferma, pur non abbandonando la visione di economia circolare, che esiste un limite, un confine (quello appunto della ciambella) anche all’economia circolare. Quello interno che riguarda le dimensioni umane e sociali e quello esterno che riguarda l’ambiente. Tra i due c’è un ampio spazio in cui operare. Il superamento di quello interno (il più vicino al buco della stracitata ciambella, tanto per intenderci) porta a condizioni di privazione umana, povertà e conflitto sociale, mentre il superamento di quello esterno porta al degrado del pianeta, ai cambiamenti climatici e alla perdita di biodiversità.
In estrema sintesi, la Raworth dice che un’economia sana dovrebbe essere progettata per prosperare, non per crescere e che il maniacale riferimento solo alla crescita economica ed al PIL (Prodotto Interno Lordo) non è che una valutazione del totale dei beni e dei servizi venduti in un’economia in un anno e non rappresenta, quindi, un indicatore di prosperità e benessere.
Dal 2020, quando la Doughnut Economics è stata adottata dal Comune di Amsterdam come linea guida per uscire dalla crisi pandemica, è diventata una vera e propria comunità internazionale che esplora e sviluppa i concetti e li trasforma in azioni e applicazioni concrete.
Questo movimento ha uno sviluppo recentissimo ma ne esistono molti altri, relativamente meno recenti ma sempre figli dell’aspirazione ad un mondo e una società realmente sostenibile, che hanno creato forme e modelli di organizzazioni che operano per un’economia e un modo di fare business diverso da quello a cui siamo abituati.
Un elenco completo è difficile da stilare E’ una galassia in continua evoluzione di approcci, certificazioni e forme giuridiche diverse sebbene tutti tesi al rispetto dell’umanità e del pianeta. Proviamo a citare i principali:
– Benefit Corporation
– B Corp
– Purpose Company
– Economy for the Common Good Company
Difficile, se non impossibile al momento, stabilire quale modello sia il migliore, troppi i fattori da valutare con una operatività concreta spesso relativamente recente. Cercare di esaminarle è indispensabile però per capire verso quale direzione stanno andando le imprese e le organizzazioni in quanto a impatto economico, sociale e ambientale.
Un elemento abbastanza comune è la necessità di un ente terzo che valuti e certifichi che le attività aziendali (ma non solo) rispettino i parametri stabiliti. Diversissima e in alcuni casi anche frammentata la possibilità di conformarsi ad uno dei modelli perché molti sono presenti solo in alcune nazioni, ad esempio le Benefit Corporation soltanto negli U.S.A. e in Italia, le Purpose Company in Europea ed America mentre le B Corp sono certificabili in tutto il mondo e l’Economy for the Common Good si sta diffondendo solamente ora al di fuori dei paesi di lingua tedesca.
Le Benefit Corporation sono aziende a scopo di lucro, con una forma giuridica legalmente riconosciuta che si può assumere al momento solo in Italia e Stati Uniti, che definiscono legalmente come obiettivo l’impatto positivo sulla società, i lavoratori, la comunità e l’ambiente oltre al profitto. Un impianto legislativo e statutario che permette agli amministratori aziendali di non essere vincolati all’obbligo di massimizzare ad ogni costo il valore per gli azionisti. L’elemento fondamentale è proprio la forma giuridica che preserva gli scopi benefit anche in caso di cambio di leadership o dopo un’acquisizione. Le Benefit Corporation si basano su tre obiettivi principali: lo scopo (operare a beneficio della società e dell’ambiente); la responsabilità (la crescita aziendale deve andare di pari passo con un approccio responsabile alla natura e alla società); la trasparenza (l’azienda pubblica un rapporto di sostenibilità una volta all’anno).
L’Italia è, dopo gli Stati Uniti, il primo stato ad aver formalizzato le Benefit Corporation, con la legge di stabilità del 2015, con questa indicazione: “Nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità,territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse”.
Le B Corporation (o B Corp) non hanno una forma giuridica specifica ma sono tenute a considerare l’impatto delle loro decisioni su lavoratori, clienti, fornitori, comunità e ambiente ed ottenere una certificazione – denominata BIA (Business Impact Assessment) rilasciata dall’organizzazione no-profit B Lab – che comporta un esame della governance (responsabilità e trasparenza, verso l’interno e l’esterno); della condizione dei lavoratori (salari, formazione, benefit, qualità dell’ambiente lavorativo, etc.); della comunità in cui opera (azioni di supporto per la comunità, atteggiamenti scialmente utili, politiche di fornitura e logistica, creazione di posti di lavoro, etc.); dell’ambiente (efficienza energetica,riduzione dei rifiuti e dell’impatto ambientale, etc.); della clientela (impatto positivo dei prodotti o servizi offerti sui clienti). La certificazione, valida per tre anni ma da rendicontare e pubblicare annualmente, autorizza ad utilizzare il brand Certified B-Corp per sponsorizzare i propri servizi e prodotti.
Le Purpose Company (aziende di obiettivo) sono normalmente la combinazione di una persona giuridica tradizionale (a scopo di lucro) e una fondazione o un’organizzazione senza scopo di lucro. Sono di proprietà dei dipendenti e il profitto generato è legalmente vincolato per sempre al suo scopo sociale. Sono simili alle Benefit Corporation e alle B Corp, e rappresentano un’alternativa al primato degli azionisti in quanto l’obiettivo è sempre prevalente. Il controllo rimane all’interno dell’azienda. I profitti servono per la missione dell’azienda e vengono reinvestiti nell’azienda o donati. Investitori e fondatori sono compensati ma con rendimenti o dividendi limitati.
Le Economy for the Common Good Company trovano fondamento nel modello economico che privilegia una vita buona per tutti, in armonia con il benessere del pianeta (in inglese ECG – in italiano EBC Economia del Bene Comune) nato nel 2009 sulla spinta di un gruppo di imprenditori austriaci guidati dallo scrittore Christian Felber che ha sviluppato un modello teorico di economia del benessere come alternativa al mercato capitalista e all’economia pianificata.
Come modello economico ha ottenuto, nel 2015, il riconoscimento del CESE (Comitato Economico Sociale Europeo) in quanto etico, sostenibile e orientato alla coesione sociale e in grado di far fronte alla scarsa resilienza del sistema economico e sociale europeo ma che è anche un sistema di certificazione per aziende, amministrazioni pubbliche e ONG. A differenza di Benefit Corporation, B Corporation e Purpose Company, l’”etichetta ECG” è infatti applicabile anche alle organizzazioni senza scopo di lucro.
Il “Bene Comune” fa riferimento a quattro gruppi di valori etici: dignità umana, solidarietà e giustizia sociale, sostenibilità ambientale, trasparenza e co-determinazione democratica. Valori peraltro riconosciuti nelle carte costituzionali di diverse nazioni del mondo. In Italia dall’articolo 41:
“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.
L’obiettivo generale delle società ECG non è quindi aumentare la performance finanziaria, ma aumentare il suo contributo al bene comune spostando l’attenzione da un modello indirizzato alla pura accumulazione di denaro e capitale, ad uno il cui fine è una vita buona per tutti. Le ineguaglianze nel reddito e le dinamiche di potere sono ridotte al minimo .Il consumo di risorse naturali avviene nei limiti planetari delle capacità rigenerative degli ecosistemi. Le persone godono di pari opportunità.
Rispetto a Benefit Corporations e B Corps, le ECG adottano un approccio più ampio alla responsabilità aziendale o associativa includendo anche la partecipazione politica.
Infatti l’Economia del Bene Comune vuole essere un vero e proprio motore per il cambiamento mediante il quale anche gli enti pubblici possono valutare il loro reale contributo e, soprattutto, basare le proprie decisioni in merito ad appalti pubblici, contributi e incentivi alle imprese sull’effettivo beneficio sociale, ambientale ed economico, valutato con il bilancio del bene comune, privilegiando i soggetti con un contributo al bene comune più alto.
La certificazione di un’azienda (o di un’organizzazione) ECG viene effettuata sulla base della Common Good Matrix che valuta in che misura i valori previsti sono implementati in accordo con i suoi stakeholder come fornitori, proprietari e partner finanziari, dipendenti, clienti e la società in generale. Sono previsti audit regolari e la presentazione di un rapporto pubblico. Il bilancio del bene comune viene verificato da revisori ECG indipendenti e certificati.
Nuovi modelli economici, nuove forme aziendali o organizzative che stanno mettendo sempre più in evidenza un cambiamento profondo, probabilmente non più rinviabile, nell’approccio al profitto. Senza alcuna demonizzazione del guadagno e del denaro le aziende, ma anche gli enti pubblici (nonostante quest’ultimi debbano almeno in teoria averlo nel loro DNA), stanno comprendendo che non c’è profitto senza benessere e che, anzi, ci può essere maggior profitto sec’è benessere.
Diventare aziende B-Corp, ad esempio, ma vale anche per le altre forme possibili, non è solo la presa di coscienza dell’importanza del proprio impatto su ambiente e società, ma anche la possibilità concreta ottenere vantaggi in termini di miglioramento della reputazione e delle performance ottenendo una differenziazione sul mercato che aumenta credibilità e fiducia, rafforzare il brand, attrarre e trattenere nuovi talenti, incrementare l’interesse, misurare e potenziare le performance aziendali, migliorare i risultati economici con una riduzione dei costi, diventare elemento di cambiamento e parte di un movimento globale che promuove la condivisione di valori.
I numeri delle aziende e degli enti che si indirizzano al nuovo approccio sono in aumento. Questa la situazione con riferimento al 2020:
– più di 5000 le Benefit Corporation (prevalentemente negli U.S.A. ma in rapido incremento in Italia)
– oltre 3600 aziende certificate B-Corp (in 70 paesi)
– un migliaio le imprese e organizzazioni ECG (in 35 paesi, con uno zoccolo duro tra Germania e Austria)
– poco più di un centinaio invece le Purpose Company nel mondo.
Tratto dalla rivista Green Company Magazine (volume 7) – vedi anche tutti i numeri della rivista.