La presidente Veronica Pitea: “Occorre passare a sistemi intelligenti, gli agricoltori sono lungimiranti e da parte loro c’è una grande disponibilità a cambiare abitudini. Le istituzioni non riescono a comunicare con il territorio, ci chiediamo quindi se l’utilizzo di termini inglesi nell’amministrazione pubblica, che qualcuno ha proposto di abolire, possa davvero essere il problema”
La siccità, senz’altro, ma il problema è ormai strutturale e non arriva solo dal cielo. Il rifornimento e il consumo idrico in agricoltura fa letteralmente acqua da tutte le parti. E se è notorio che la rete comunale italiana sia ridotta ad un colabrodo con le dispersioni che conosciamo, forse è meno evidente che un uso sostenibile delle acque per irrigare i campi sia una strada ancora in gran parte da percorrere e che gli sprechi, goccia dopo goccia, assumono dimensioni esorbitanti. Sono proprio le attività agricole nel loro insieme, infatti, ad assorbire il 90 % delle risorse idriche mondiali.
“Dieci miliardi di metri cubi l’anno che in Italia, sui nostri campi, si perdono. Le statistiche dimostrano che possiamo risparmiarne almeno il 30 per cento”, è il grido d’allarme che lancia ACEPER. Sulla questione interviene la presidente Veronica Pitea, numeri alla mano, quelli di un ampio e recente studio commissionato da ACEPER al Centro interdipartimentale di Ricerca e diffusione delle energie rinnovabili (CIRDER) dell’Università della Tuscia. L’indagine condotta allo scopo di individuare “Ostacoli e drivers all’innovazione nelle imprese italiane” si è concentrata, tra l’altro, anche sui sistemi di irrigazione delle imprese agricole. E da qui sono arrivate le sorprese: “Si irriga troppo e soprattutto male, quando non ce n’è necessità. Dai nostri dati è emerso che il 70% degli agricoltori italiani utilizza ancora il metodo del “finger test” per irrigare i campi, ovvero si basa sulla propria esperienza personale per capire quando irrigare o fertilizzare. Ciò significa che sprechiamo dal 30 al 70% delle risorse idriche irrigando in ma in maniera poco efficace”.
Il campione si compone di circa 700 imprese agricole distribuite in diverse regioni italiane, con attenzione a quelle del Nord particolarmente colpite dalla siccità. Le colture prevalenti delle imprese esaminate sono di cereali (frumento, riso, e granturco) per il 57.8% del campione, arboree (frutteti, vigneti, oliveti) per il 10.6% e ortaggi (zucchine, melanzane, peperoni, insalata, pomodori, bietole, carciofi) per l’8.8%. Circa il 34% destina alla coltivazione dei cereali più di 50 ettari contro il 18% che ne destina invece meno di 10 ettari mentre per le coltivazioni arboree solo il 19% del campione destina più di 50 ettari, la maggior parte destina infatti meno di 10 ettari (34% del campione). Anche per gli ortaggi, la maggior parte (37%) dedica meno di 10 ettari, il 23% più di 50 ettari. Il 44% del campione ha poi dichiarato di destinare alla coltivazione dei legumi una quantità di ettari che varia da 10 a 25 e solo il 9% destina meno di 10 ettari per tale coltivazione. Infine per la coltivazione di tubero il 70% ha dichiarato di dedicare a questa coltivazione una quantità di ettari che va da meno di 10 a più di 50 ettari.
Per quanto riguarda specificamente i sistemi di irrigazione il 31,5% del campione ha dichiarato di utilizzare il sistema a goccia, il 26.6% non irriga, il 14% l’aspersione. Il 28% ha però dichiarato di utilizzare altre tecniche rispetto a quelle indicate, come l’utilizzo di un proprio pozzo, sistemi 4.0 o supporti da parte del consorzio di afferenza.
Il 66% ha inoltre dichiarato di non utilizzare programmi di irrigazione. Il 61% infatti utilizza la propria esperienza come base per programmarla e solo il 34% del campione utilizza programmi di irrigazione, con il 59% che utilizza centraline su tutta la superfice coltivata mentre gli altri le utilizzano solo su parte delle coltivazioni o non le utilizzano affatto.
“Nel 2023 – afferma la presidente ACEPER – è impensabile che i contadini utilizzino ancora i sistemi di chi cura il proprio orto a casa, c’è bisogno di sistemi intelligenti”. Sistemi che esistono e che aiuterebbero a ridurre lo spreco d’acqua in modo sostanziale, come l’idroponica o altri sistemi ancora più avanzati: “Durante l’ultimo incontro avuto ad Antalya come International partner del WBAF [World Business Angel Investment Forum N.d.R.] con vari ministri, capi di Stato e start up – continua infatti Pitea – abbiamo scoperto che una società spagnola ha brevettato un sistema intelligente di irrigazione che permette di abbattere del 30-50% gli sprechi sia di acqua nell’irrigazione che ovviamente di energia.
E non è vero che gli agricoltori non siano disposti ad investire, anzi, dalla nostra ricerca è emerso tutto il contrario: semplicemente sono le associazioni di categoria che non inviano le informazioni necessarie e questi, che giustamente devono fare il proprio mestiere, si accontentano. Anche perché si tratterebbe di irrigare con sonde elettriche che hanno prezzi più che accessibili, qualche centinaio di euro. Non possiamo sempre sperare nella pioggia e le autobotti non sono la soluzione. Se ci siamo arrivati noi che ci occupiamo di fotovoltaico non capisco perché queste domande non se le facciano anche le associazioni di categoria che ricevono i dati dagli agricoltori ma non rispondono con le informazioni che servirebbero per migliorare la situazione”.
Il prezzo da pagare per lo spreco d’acqua è altissimo e già lo stiamo pagando. L’anno scorso la peggiore siccità che l’Europa abbia conosciuto da secoli è costata all’agricoltura italiana 6 miliardi di danni pari al 10% della produzione agroalimentare nazionale, come riporta Coldiretti che, per correre ai ripari in previsione di un nuovo anno disastroso dal punto di vista climatico ha elaborato con l’Anbi – Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazioni Miglioramenti Fondiari – un progetto per la realizzazione di una rete di bacini di accumulo per arrivare a raccogliere il 50% dell’acqua dalla pioggia.
Ed è proprio l’Anbi a rendere noto attraverso il report settimanale dell’Osservatorio sulle Risorse Idriche che “secondo il Joint Research Centre (Centro Comune di Ricerca) della Commissione Europea, nell’inverno appena concluso, la neve sulle Alpi è stata il 30% in meno rispetto al 2022 quando, alla fine di febbraio, il deficit sulla media era già del 67%. Non solo: mentre lo scorso anno, la carenza di neve era maggiormente evidente nel Nord Ovest, ora la scarsità di risorsa colpisce tutto il versante italiano dell’arco alpino. La quantità di neve caduta sulle Alpi, fino a fine febbraio, è stimabile in 2,9 miliardi di metri cubi, a fronte di una media storica di 8,7 miliardi di metri cubi e dei 4 miliardi di metri cubi presenti nello stesso periodo del 2022”.
Anche da questi dati si deduce come agire sul fronte delle risorse idriche in agricoltura sia indispensabile e urgente. “ACEPER ha scritto al Ministero dell’Agricoltura per ottenere un incontro – conclude Pitea – Si chiede ai cittadini di farsi docce più corte e di non lavare l’auto. Pensiamo che non possa essere questa la soluzione. Sul fronte cruciale dell’agricoltura il nostro auspicio è che la politica lavori seriamente sulla comunicazione verso il territorio. Gli agricoltori, come emerge dalla nostra ricerca, sono lungimiranti e flessibili, ben disposti a cambiare abitudini e propensi ad adottare nuove tecnologie per produrre di più e sprecare meno acqua. Ma sembra, appunto, che ci sia un difetto di comunicazione, con difficoltà a trasmettere e condividere le informazioni. Le istituzioni non riescono a comunicare con il territorio, ci chiediamo quindi se l’utilizzo di termini inglesi nell’amministrazione pubblica, che qualcuno ha proposto di abolire, possa davvero essere il problema”.
Tratto dalla rivista Green Company Magazine (volume 10) – vedi anche tutti i numeri della rivista