L’Unione Europea con il Regolamento contro il caro–bollette, approvato il 30 settembre e formalmente adottato il 6 ottobre, conta di raccogliere circa 142 miliardi di euro dalle imprese energetiche per aiutare famiglie e imprese travolte dallo spaventoso aumento dei costi dell’energia. Due gli strumenti per costituire questo fondo: il primo è il tetto al prezzo dell’energia elettrica a 180 euro Megawattora (fino al 31 marzo 2023), con i produttori di energia (eolica, solare, geotermica, idroelettrica, combustibile da biomassa- escluso il biometano -, rifiuti, nucleare, lignite, prodotti petroliferi grezzi e torba) che dovranno versare l’eccedenza a compensazione dell’aumento dei costi per famiglie e imprese; il secondo è l’imposta temporanea sugli extraprofitti generati dalle attività del petrolio, del gas, del carbone e delle raffinerie che non sono coperti dal tetto.
Per l’imposta sugli extraprofitti, il regolamento indica un tasso minimo che gli stati membri possono superare oppure combinare con misure simili già introdotte a livello nazionale, come ad esempio con l’imposta sugli extraprofitti già in vigore in Italia.
Proprio la normativa italiana sugli extra profitti, contenuta nel Decreto Aiuti Bis, all’articolo 15bis, ha fatto nascere, oltre a moltissimi contenziosi, soprattutto sconcerto tra le piccole e medie imprese che si sono rese autonome energeticamente attraverso impianti fotovoltaici di potenza superiore ai 20 Kw. Imprese che, oltre alla loro attività principale, producono anche energia da fonti rinnovabili che immettono in rete per la vendita ma che devono poi sempre dalla rete riacquistare.
L’aumento dei costi dell’energia elettrica ha portato ad un grave divario, una forbice, tra prezzo di vendita alla rete, fissato dal governo Draghi a 50 euro al MWh, e il costo d’acquisto dalla rete stessa per l’azienda.
Infatti, anche per le PMI, che non hanno nella produzione di energia la loro attività principale ma solo a sostegno, gli extra profitti che in realtà non si generano, andrebbero restituiti. Ciò comporta perdite da portare nel conto economico per i costi dovuti alla tassa a cui vanno comunque aggiunti quelli esorbitanti delle bollette da pagare.
Occorre quindi una modifica della norma per esonerare le PMI produttrici di energia da rinnovabili, quando questa attività non è prevalente (aziende quindi che non sono strettamente operatori energetici): è questa la posizione anche di ACEPER.
Veronica Pitea, presidente dell’associazione che rappresenta circa 10000 impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili ed è quotidianamente in contatto proprio con quelle piccole e medie aziende che producono energia fotovoltaica solo a supporto di un’attività principale, afferma: “Il settore delle rinnovabili, che in Italia dovrebbe essere il principale motore della transizione energetica, rischia di essere messo in ginocchio da questa norma. Le piccole aziende che hanno il fotovoltaico a supporto delle loro attività produttive, da quelle agricole a quelle manifatturiere, rischiano di chiudere e di lasciare a casa i dipendenti.
Parliamo di mini-impianti, avviati negli anni scorsi da piccoli imprenditori dell’agricoltura, dell’industria e dell’artigianato che hanno fatto installare nei campi o sui tetti delle loro aziende pannelli fotovoltaici per l’autoproduzione dell’elettricità e la rivendita dell’eccesso sul mercato. Ma quest’ultima non è il loro core business. Senza dimenticare gli investimenti, anche notevoli, che hanno dovuto fare: per un impianto da 100 kilowatt serve almeno mezzo milione di euro. È indispensabile che il governo intervenga, tenendo conto della diversa situazione delle PMI. Gli impianti fotovoltaici devono essere considerati beni funzionali alla trasformazione delle imprese in chiave industria 4.0, ed usufruire di incentivi e agevolazioni”.
“Purtroppo – continua il presidente Aceper – le imprese che hanno investito nel fotovoltaico adesso si sentono con le spalle al muro e non è la prima volta. La legge sugli extra-profitti, che fa vendere l’energia elettrica prodotta con il proprio fotovoltaico a 50 euro ma la fa riacquistare a dieci volte tanto, si somma a quanto avvenuto in passato: nel 2015 con lo ‘Spalma incentivi’, a cui sono seguite nuove tasse per l’autoproduzione da fonti rinnovabili e poi gli oneri di dispacciamento fino ad arrivare alla Tremonti Ambientale che rischia di far fallire migliaia di imprese. A questo proposito forse si vede una luce in fondo al tunnel ma, purtroppo, la vicenda, assai complessa, del cumulo Tremonti Ambientale e Conti Energia, non si è ancora conclusa e ACEPER, fin dal primo momento aveva messo in luce, come la possibilità negata di cumulare gli sgravi fiscali concessi dalla Tremonti Ambientale con gli incentivi previsti dal Conto Energia avrebbe portato a conseguenze gravi per moltissime aziende.
Se davvero si vuole puntare sulle rinnovabili non bisogna penalizzare i piccoli produttori che della conversione energetica sono un tassello fondamentale”.
Tratto dalla rivista Green Company Magazine (volume 8) – vedi anche tutti i numeri della rivista