Comunità energetiche, autoconsumo, benefici e criticità. Ne abbiamo parlato con il senatore Paolo Arrigoni (Lega), membro della Commissione permanente Territorio, Ambiente e Beni ambientali del Senato e responsabile del Dipartimento Energia della Lega.
Le comunità energetiche rinnovabili dovrebbero essere, o potrebbero essere, il volano del nuovo sviluppo previsto dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) per tutto il sistema energetico sostenibile italiano. E’ effettivamente così?
Le comunità energetiche rinnovabili sono sicuramente uno dei volani più importanti per la transizione ecologica che caratterizzerà il nostro Paese da qui in futuro, ma non l’unico. Presuppongono un impulso all’installazione di impianti rinnovabili e accelereranno, quindi, quel cambio di paradigma che è in corso sostanzialmente dall’inizio degli anni duemila. Allora il sistema di produzione di energia elettrica era concentrato in poche centinaia di impianti idroelettrici e di centrali termoelettriche, a carbone e a gas naturale. Ora sta diventato sempre più un sistema di produzione distribuito che già oggi conta un milione e centomila impianti realizzati grazie anche, ma non solo, al Conto Energia e ai successivi incentivi fiscali. Visti i tempi, le comunità energetiche cresceranno ancora di più e non si parlerà soltanto di autoconsumatori ma di “prosumer”, cioè di coloro che producono energia mettendola a disposizione non solo per sé ma anche di altri soggetti geograficamente vicini.
Quali sono i benefici?
I benefici sono diversi: di natura ambientale, perché l’aumento di impianti da fonti rinnovabili (non solo fotovoltaico ma anche micro e mini idroelettrico) consentirà di ridurre la produzione da fonti fossili; economici, perché questi nuovi strumenti faranno diminuire il peso delle bollette dell’energia elettrica per i soggetti che si saranno aggregati in una comunità energetica; e infine anche benefici sociali. Dal punto vista economico stiamo parlando di somme importanti. Ci saranno tariffe incentivanti per ogni Kwh di energia prodotta e condivisa, proventi per la vendita in rete dell’energia elettrica, detrazioni fiscali. Inoltre con il PNRR il Governo ha stanziato 2,2 miliardi dei 70 della Missione 2 “Rivoluzione Verde” proprio per sostenere lo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili, con una particolarità: questi fondi sono destinati ai comuni sotto i cinquemila abitanti che, proprio perché così piccoli, sono anche quelli più a rischio spopolamento, in particolare quelli montani.
Chi può quindi partecipare ad una comunità energetica?
Sostanzialmente gli enti territoriali, quindi le autorità locali, in particolare i comuni, le piccole e medie imprese e i privati. Gli aderenti alla comunità energetica dovranno installare uno o più impianti da fonti rinnovabili e l’energia prodotta potrà essere immagazzinata con delle batterie di accumulo, condivisa per essere consumata tra i vari soci della comunità e, per la parte in eccedenza, potrà essere venduta alla rete. Si avrà un’accelerazione, quindi, della transizione ecologica con una spinta dal basso, di cui tutti devono e possono diventare protagonisti. I cittadini, i comuni, gli amministratori locali, le piccole e medie imprese potranno dare un contributo importante per la decarbonizzazione e per il contrasto dei cambiamenti climatici, con l’obiettivo finale di contenere l’aumento della temperatura del pianeta.
Quindi una spinta dal basso e una forte territorialità sono le caratteristiche che spingeranno alla loro creazione?
Assolutamente sì, una forte territorialità perché i soggetti sono geograficamente vicini. Il nostro Paese in questo ha fatto da apripista e si è mostrato all’avanguardia. Ha anticipato gli altri paesi europei nelle more del recepimento della Direttiva RED II, quella dello sviluppo e del sostegno delle fonti rinnovabili, e precorrendo i tempi ha introdotto nel Decreto Milleproroghe n.162 del dicembre 2019, convertito in legge nel febbraio del 2020, una norma sperimentale che già consente la partenza delle comunità energetiche rinnovabili in Italia. C’è anche l’autoconsumo collettivo, che è un meccanismo più semplice, una versione in piccolo della comunità energetica, che può essere messo in opera all’interno di un edificio come un condominio o un centro commerciale. Qui basta un accordo tra privati, mentre per le comunità energetica serve la definizione di un soggetto giuridico di diritto privato. Sono due strumenti importantissimi e, sebbene le prime sperimentazioni stiano portando alla luce delle criticità, confidiamo che proprio il recepimento della Direttiva europea RED II, n. 2001 del 2018 possa aiutare a superarle. Oggi ci sono alcuni vincoli: gli impianti da fonti rinnovabili devono avere una potenza inferiore ai 200 Kw e gli utenti che partecipano alla comunità energetica devono essere tutti collegati alla stessa cabina di media tensione. Un limite che, però, in pendenza del recepimento della Direttiva europea, non impedisce la realizzazione delle comunità energetiche nonché il consumo collettivo, che hanno comunque garantita la tariffa premio incentivante è per vent’anni. Con il recepimento della Direttiva la soglia di potenza dell’impianto potrebbe andare oltre i 200 Kw e si potrebbe allargare anche il perimetro geografico dei soggetti che possono aderire a una comunità energetica.
Quando lei parla di allargamento del perimetro geografico intende un allargamento in senso strettamente territoriale?
Sì, perché, come detto prima, oggi per legge chi aderisce deve essere collegato alla stessa cabina di media tensione e questo può essere limitante. In un quartiere di una città o anche di un paese gli utenti sono spesso serviti da più cabine di media tensione e superare questo vincolo significa aumentare la potenzialità delle comunità energetiche. Questo è particolarmente interessante soprattutto nei comuni montani, che tra l’altro sono a rischio spopolamento, dove le superfici di territorio sono molto estese e le case sono ubicate in modo distribuito. In questi casi il vincolo della singola cabina potrebbe essere veramente un limite.
C’è interesse dai soggetti potenzialmente coinvolti?
La norma, introdotta nel febbraio 2020, dopo quindici mesi ha la necessità di essere promossa, fatta conoscere ed è quello a cui si stanno dedicando i portatori di interesse ma anche io personalmente in qualità di responsabile del Dipartimento Energia della Lega. Occorre fare opera di informazione e rendere consapevoli i cittadini ma soprattutto i sindaci perché sono proprio gli amministratori locali, tra i vari potenziali soggetti facenti parte delle comunità energetiche, ad avere il ruolo principale potendosi porre come facilitatori e supervisori dei progetti. Il sindaco può spingere le piccole medie imprese, i commercianti, le famiglie a mettere in piedi una comunità energetica a beneficio di tutti, perché il suo ruolo è comunque visto come una garanzia, in particolare nei piccoli comuni, assai più di un operatore economico. Le comunità energetiche si possono realizzare ovunque: in un quartiere, in un distretto del commercio o in un’area artigianale, oppure per riqualificare una determinata area degradata pe contrastare lo spopolamento. Occorre però molta informazione e proprio per questo, ho presentato in Senato, un paio di mesi fa, il testo base di una mozione aperta a tutti i consiglieri comunali da poter proporre nei propri consigli proprio per invitare il sindaco e la giunta a intraprendere questo percorso. Non molti giorni fa ho anche promosso un convegno a Lecco, al quale era presente anche il vice presidente nazionale di Legambiente Edoardo Zanchini, per condividere con i sindaci, gli amministratori locali e le associazioni di categoria le opportunità che le comunità energetiche rinnovabili possono assicurare al territorio ed ho potuto riscontrare sia il grande interesse per l’argomento che , purtroppo, anche la scarsa conoscenza di questi nuovi strumenti.
È quindi opportuno insistere per diffondere l’esistenza di queste misure e far capire che si può veramente dare un contributo dal basso per realizzare la transizione ecologica. Più comunità energetiche si faranno, più impianti a fonti rinnovabili ci saranno e – a parte i risparmi per i soggetti che si associano – sempre maggiore sarà il contributo per raggiungere l’obiettivo, molto più sfidante, del 2030 che prevede in Italia l’installazione di 70/75 GW di potenza di nuovi impianti da energia rinnovabile.
Paolo Arrigoni, Senatore della Lega, è Questore del Senato e membro della Commissione Territorio, Ambiente e Beni Ambientali. È inoltre membro del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (COPASIR).
Nato a Lecco nel 1964 e cresciuto a Calolziocorte (Lecco), si laurea in ingegneria elettronica al Politecnico di Milano, si è occupato di progettazione e consulenza di impianti elettrici e di automazione per i settori civile, terziario e industriale.
È stato consigliere comunale e assessore di Calolziocorte, dove viene eletto Sindaco nel 2003 mantenendo l’incarico per due mandati fino al 2013.
Dal 2004 al 2014 è consigliere in Provincia di Lecco e a partire dal 2009 svolge il ruolo di Capogruppo di maggioranza per la Lega. Viene eletto Senatore per la prima volta nel 2013 nella circoscrizione Lombardia, riconfermato nel 2018. Dal giugno 2020 è Responsabile Nazionale del Dipartimento Energia della Lega.
Luca Bruno Malaspina
Tratto dalla rivista Aceper impresa green (volume 3) – vedi anche tutti i numeri della rivista.